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al testo di Sergio Loi
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Svaporato il sacro incenso festivo, stuolo di adepti nel Tempio del lucro. (1) Il più zelante, per tutta la vita a rimpinguare il forziere segreto, celebrato il rituale consulto, mi strizza complice l’occhio brioso. Alle mie generose lusinghe per la tenace e brillante canizie, sbattendo palpebre, or contraendo labbra tremanti, sospira bramoso: “ah! se sol di trent’anni l’orologio potessi arretrare!” Una vecchietta, accorsa per una magra pensione, gli ribatte tutta ringalluzzita: “uh! son io la più ricca di vita. Mai li ho contati, eppur sono prossima a tagliare il traguardo dei cento, ognuno pieno di gioie e dolori, ma cancellarne non voglio nessuno. Una ragazzina ancora mi sento!” Quel Creso mai pago, stretto nel pugno l’ultimo frutto di esoso tesoro, si congeda, in fuga, tutto basito.
Investito dalla gelida ondata dell’arzilla campionessa, le stampo la medaglia sulla fronte serena, grato il turno le cedo, poi di slancio l’uscita guadagno, a respirare aria libera e osservare i passanti: scrutare i vecchi e fissare i bambini, a coglierne lampi e stanchi riflessi; scoprire fregi di antichi palazzi e, oltre i tetti, aprire una striscia di cielo. In piazza un frullo mi sfreccia sul viso e alla fonte il passo mi affretta. Al sonoro zampillare irradiante, mi sento dentro scrosciare la vita.
(1) Un lunedì, in una banca. |
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